Heidegger - Lettera sull’umanismo II
>> domingo, 6 de julho de 2014 –
Filo Contemporânea
Resumo II
Avendo presente lo schema del mio elaborato
precedenti, vorrei sottolineare qualche aspetti che mi sembrano evidenti nella
continuazione della lettura della Lettera sull’umanesimo di Heidegger.
Quello che ci salta vista è che l’autore sembra
avere una visione molto negativa della situazione in cui c’era il mondo. Che
lui chiama di tempo indigente, di oblio dell’essere e anche di povertà
culturale. Secondo lui questo accade perché è una epoca di predominio
(egemonità) della scienza e della tecnica[1],
dove l’ente viene compresso come un presupposto non pensato, ma invece molto
oggettivato. Heidegger guarda con molta nostalgia il periodo presocratico,
in cui per lui, l’essere è cercato, dopo questo periodo lui identifica un
progetto iniziato da Platone che è concluso in Nietzsche[2].
In linea di massima, per lui l’ente viene ontificato dopo i
presocratici. Dunque per lui, se uno vuoi capire il progetto
metafisico dell’occidente deve studiare soprattutto Nietzsche.
Dunque se abbiamo appunto in mente la
modernità (Cartesio e Hegel), il punto di partenza è la coscienza di sé, questo
non c’è nessuno contenuto, è soltanto pensiero di pensiero. Cosi in questo
contesto il vero deve essere oggettivo e corrispondere a certi parametri, ma il
problema è chi definisce questi criteri. Per Cartesio queste criteri è la
chiarezza e distinzione (certezza). Ma il problema è che la coscienza ha
definito queste criteri da sé stessa e questi sono criteri di coscienza. Altro
problema che il processo in cu si svolge questo è la logica. Ora ciò che dice
Heidegger è che questa modernità ciò che fa nel confronto della realtà è imporsi
e non aprirsi. Dunque non riconosce la realtà, e stabilisce i suoi comandamenti
da sé e cosi se arriva ad una ontologia (logica del logos). Secondo lui, perché
l’ontologia, la metafisica e la
cultura occidentale si fondano nella logica del logos, non sono altro che
una volontà di potenza. Secondo Heidegger, Nietzsche volendo scapare di questa
tradizione non è altro che il culmine di questa impostazione.
Questo non mi sembra sbagliato ma
sembra che lui non vede in S. Tommaso una rottura di questo quadro e in
Cartesio una rottura a S. Tommaso, anche
di non avere una concezione chiare dell’essere a partire della creazione. Anche
ha avuto il problema di voler allungare troppo la sua critica, che se infatti è
molto importante, ridurre troppo tutta la tradizione precedenti. Applica una
critica eccessiva, intuisce il problema, ma non lo risolve.
L’essere nel mondo dell’uomo di
Heidegger implica sempre la libertà, un decidere, un progettarsi, ma sempre in
un mondo storico in cui ci sono possibilità-eredità, un mondo nel quale
possibilità-eredità implica anche un destino. “Ed è proprio perché si tratta di pensare l’e-sistenza dell’esser-ci che
in Sein und Zeit è così essenziale per il pensiero che si esperisca la
storicità dell’esserci”[3] Dunque ogni autenticità significa allora la
consapevolezza della finitezza, del progettarsi secondo un’eredità tramandata,
ricevuta, ma sempre scelta.
La critica di Heidegger a Cartesio è
molto valida, giusta e buona, ma il suo pensiero c’è qualche limite, assenze.
Davanti una realtà storica specifica, manca qualcosa per uscire di là, cosa
manca? Manca la trascendenza (Dio), e manca un’etica di contenuto, un’etica
dell’autenticità e dell’inautenticità. E perché manca queste cose? Forse perché
l’analisi di Heidegger è troppo fenomenologica, ma poco ontologica. E si non
c’è ontologia, ossia, se la fenomenologia non c’è ontologia, non ci porta ad
una costituzione, la consapevolezza della finitezza senza trascendenza, manca
di criteri oggettive per giudicare la realtà.
Come abbiamo visto nell’ultima lezione,
possiamo dire che lui è proprio un ermeneuta, forse il padre dell’ermeneutica
che dopo sarà trasmessa e sviluppata da Gadamer. Quello che possiamo affermare
con sicurezza, è che lui non è un esistenzialista, nemmeno un metafisico, lui è
un ricercatore dell’essere, un fenomenologo (è stato discepoli di Husserl), più
ancor, un fenomenologo molto profondo. Lui propone un linguaggio non rigoroso alla
filosofia, ma più “poetico”.