Descartes - Terza Meditazione Metafisica

(la prova dell’esistenza di Dio in Cartesio)


               Prima di tutto dobbiamo aver in conto il modo di Cartesio fare filosofia è molto particolare e diverso ad esempio, di Platone, Aristotele, S. Tommaso ecc., che sono più realistico, cosi bisognammo soffermarci un può sul suo pensiero. Già nel primo paragrafo della Terza meditazione possiamo vedere il suo atteggiamento, lui non parte dalla realtà oggettiva, dalle cose date dai sensi, ma da un dubbio metodico. Nell’opera Meditazioni Metafisiche, anche tradotta come Meditazioni sulla filosofia Prima, Cartesio cerca di dimostrare l’esistenza di Dio e la distinzione reale tra mente e corpo. L’opera è stata scritta in 1641 e in essa troviamo lo stesso sistema filosofico presentato nel Discorso sul Metodo. Come sappiamo l’insieme dell’opera di Cartesio è di molta importanza per la filosofia, già che inaugura un nuovo atteggiamento metafisico e questa è la prima osservazione che vorrei fare dalla lettura del testo, poiché quando si parla di Metafisica qui, non dobbiamo aver in mente lo stesso che troviamo quando leggiamo gl’autori classici e medievali. Abbiamo anche in conto che se da un lato lui viveva in un contesto simile al nostro nel senso di una mancanza de in riferimento filosofico chiaro, un scetticismo dominante, da altro lato oggi abbiamo in conto la decadenza della scolastica, dopo Duns Scoto e Suares, che sono gli autori che hanno influenzato Cartesio. Dunque il suo pensiero non viene di quella scolastica tomista.
                Cartesio è un cristiano cattolico, che ha avuto una formazione gesuitica. È anche un matematico, e piuttosto voglia scapare di questo, specialmente la sua mentalità matematica, gli fa desiderare la certezza assoluta, e proprio per quello vuole una scienza universale, che sia assolutamente chiara, affidabile. Dunque per capirlo dobbiamo fare sforzo, già che utilizza una terminologia molto particolare.
L’opera è composta di sei meditazioni, in cui l’autore mette in dubbio ogni credenza che non sia assolutamente certa, reale, fattuale e da qui cerca di stabilire quello che è possibile sapere con sicurezza.
                Cartesio ha deciso di scrivere quest’opera dopo essere molto criticato a causa del Discorso del Metodo, con lo scopo d chiarificare un può ciò che era in sintesi il suo pensiero. La terza meditazione, che è proprio quella che ci proponiamo ad analizzare, presenta il tema di Dio, concludendo che esiste. Ci sono 42 paragrafi, che presento qui con il seguente schema:

1.       Introduzione, §1-4 riassunto delle meditazioni precedenti, §5. La questione di Dio e §6-9 discriminazione dei dati dal problema;
A)     Primo cammino, §10-14 per giudicare il valore oggettivo dell’idee (senso comune);
B)      Secondo cammino, § 15-29 dove presenta i principi di causalità e corrispondenza, le condizioni per riconoscere il valore oggettivo di una idea, l’esami dei diversi specie di idee e la prima prova dell’esistenza di Dio
C)      Seconda prova dell’esistenza di Dio,  §§ 29-42.

                Nell’introduzione ci sembra chiaro il cambiamento d’impostazione di Cartesio in paragone con gl’autori precedenti, specialmente Aristotele e S. Tommaso, che partono dell’analisi della realtà per arrivare al soprasensibili, lui invece parte dall’auto analisi, dalla coscienza (io) per arrivare all’osservazione del mondo, la ponte del passaggio piuttosto non ci lascia chiaro. Dopo, dal §5 al §9 paragrafo pone la questione dell’esistenza di Dio e la discriminazione dei dati del problema. Il suo schema è questo, dato che sta sicuro che non può confidare nei sensi, mostra che dubita di un’idea (Y) nella misura in cui suppone un Dio ingannatore (genio malvagio), però quando torna a quello che pensa conoscere chiaramente si persuade a pensare che non è possibile che sia ingannato in (Y), poiché si fossi così non riuscirebbe concepire di un’altra forma. Allora cerca di esaminare due cose: se Dio c’è e se Egli è ingannatore, già che da queste risposte dipendono le certezze future. Così divide il suo pensiero in generi per poter verificare si in essi si trova verità o falsità.
                L’idea è rappresentazione, classifica 3 tipi di idee (Innatae, adventitiae, factitiae)  e nel soggetto è sempre volontà, affezione o giudizio e per l’azione dello spirito aggiunge qualcosa all’idea che c’è della cosa, esempio, io voglio, io affermo, io temo. Le idee in se stesse non possono essere false, anche non possono essere false nell’affezione e nella volontà, già che quando si vuole una cosa è vero che si vuole. Nel giudizio invece l’errore sta nel considerare uguali le cose esterni simili all’interni. Dunque la verità o la falsità si trova nel giudizio. Allora se le idee fossero pensieri senza relazioni con la res esterna, mai si cadere in errore.
A) Il primo cammino per l’esami del valore oggettivo dell’idee è il senso comune. Cartesio si domanda, perché si deve credere che le idee sono simile alle sue cause esterni? La sua risposta è che essa somiglianza sembra essere data per la natura (§10) e queste idee non dipendono dalla volontà, allora sono differenti di chi le sentono (§13). Allora il senso comune pensa che la cosa esterna sempre stampa all’idea la sua somiglianza. Lui critica fortemente il senso comune per 3 motivi, per l’impossibilità di confidare in un istinto naturale, perché nulla si può concludere nell’assenza di una idea chiara e distinta e principalmente, perché suppore che un’idea ci sia infatti per origine una causa esteriore non risulta piuttosto che gli sia somigliante. Esempio, suppore che A sia causa di B non autorizza mai un giudizio che A sia somigliante a B. Dunque la via del senso comune non ci serve.
B) Il secondo cammino è costituito dai principi di causalità e corrispondenza: afferma che attraverso la luce naturale si sa che deve aver tanta realtà nella causa efficiente quanto nell’effetto  (§16) allora si conclude non soltanto che il nulla non può produrre qualcosa, anche che ciò che è il più perfetto contiene in sé più realità e non può essere un risultato nemmeno una dipendenza di quello che è perfetto dimeno. Da questo nuovo prisma Cartesio cerca di fare un esami delle differenti specie di idee e tra queste c’è l’idea di Dio. Lui cerca le idee chiare e distinte, perciò esclude le idee delle qualità sensibili e corporee, allora resta l’idea di Dio e bisogna sapere se questa non è stata creata da me stesso (§22). Ma conclude che le qualità di Dio sono eminenti dipiù per essere originate dal proprio “io” (res cogitans), quindi il massimo di realità oggettiva che c’è l’idea di Dio implica, al meno, il massimo di realità formale per la causa di questa idea. Dunque Dio esiste, perché soltanto sarebbe possibile aver idea di una sostanza infinita se qualche sostanza infinita l’ha avessi causato. Allora l’esistenza di Dio distrugge l’ipotesi del Grande Ingannatore e ci porta all’esistenza  di un Dio che ci garantisce la verità delle idee chiare e distinte della res cogitans. Questa è la prima prova.
C) La seconda prova: Cartesio è già arrivato alla certezza del “cogito ergo sun”, allora bisogna sapere se posso “io essere per me stesso” (§31) e conclude che questo è impossibile perché “Chi può il più, può il meno”, allora come non posso produrre il “meno” (le perfezione di cui ho l’idea), non posso produrre il “più” (essere l’autore del mio essere). Dunque l’ipotesi è assorda (§32). Ammettiamo un’altra ipotesi, che io esista senza causa, la discontinuità e l’indipendenza dei momenti del tempo invalidano subito quest’ipotesi, poiché implicano la necessità per me di essere conservato, in ogni instante, per una causa (§§33-34). Arriviamo dunque al secondo momento della prova, “io so che dipendo di qualche essere diverso da me” e questo essere non potrà essere qualcosa diverso da Dio. Se questa causa strana a me esiste per sé, deve causarsi con tutte le perfezioni di cui c’è lo idea, dunque è Dio, è proprio Lui che conserva l’io nel tempo (§36).
Dal § 36 al §42, Cartesio cerca di riflettere sulle conseguenze di questa conclusione: tutte le cose create si assomigliano al suo creatore, almeno in quanto sono, come lui, sostanza; quanto più essere gli sono state concessi, tanto più si assomigliano al creatore.
Una critica che possiamo fare a Cartesio, è proprio a mancanza di analogia, vorrei anche dire il suo atteggiamento troppo teoretico, lui non parte dal reale, e questo ci sembra proprio uno sbaglio nel senso che il pensiero umano può, senza dubbio, arrivare ad una realtà ideale, però non come punto di partenza, già che non è possibile all’uomo pensare fuori dalla realtà temporale. Nel suo volere una conoscenza scientifica, lui si sofferma troppo su di sé. Sembra rinegare la caratteristica fondamentale umana di domandare sul che è una cosa, infatti, le prime domande che fa un bambino è domandare cos’è questo, quello. Lui invece parte delle idee, senza considerare che qualsiasi idea non può venire senza una esperienza. Forse questo se da perché non fa uso dell’analogia, prende l’essere in senso univoco, proprio come Duns Scoto e Suares.
È vero che si deve cercare di scapare dei pregiudizi delle autori diversi, ma non si può semplicemente disprezzarle, ci sembra importante al fare metafisica, conoscere quello che dicono le diversi autori, il loro punto di partenza, ancora che dopo non ci sia d’accordo. Sicuramente possiamo credere nella onestà intellettuale di Cartesio, il suo desiderio di scapare dall’errore, dalla confusione, un sentimento che è ancora tanto attuale, ma la sua impostazione, ci sembra un può ingenua. Al considerare il mondo interiore (res cogitans) non è molto preciso, non fa anche la distinzione delle facoltà (sensazione, intelligenza, ecc.), considera tutto in modo un può confuso, dunque se è vero che fa un’antropologia, non è una buona antropologia. 
Soltanto attraverso i suoi paradigmi sembra sempre molto difficile sapere cosa è il reale. Il suo pensiero preso in senso assoluto si arriva con facilità ad un panteismo, che è proprio quello che ha fatto Espinoza, Leibnitz??? Un’osservazione interessante, ci sono diversi commentatori che dicono che la prova di Cartesio dell’esistenza di Dio è la stessa di Sant’Anselmo, il così chiamato argomento ontologico, però se guardiamo bene, piuttosto il ragionamento sia molto simile, Sant’Anselmo dice che Dio è quel “Essere di cui non si può pensare nulla più grande[1], Cartesio invece dice che l’idea dell’infinito non può essere pensata, dunque c’è qui qualche distinzione sulla prova di Cartesio e quella di Sant’Anselmo.
Per capire Cartesio, bisogna entrare proprio nel suo sistema logico, fare lo stesso itinerario di lui, e sicuramente si può imparare tanto con lui e con le conclusioni che arriva. Il suo pensiero c’è la sua bellezza, come l’dea di infinito per esempio, anche la conclusione che arriva che per poter pensare si deve aver nell’orizzonte l’infinito, vediamo anche una coerenza quando dalla sua prova dell’esistenza di Dio, finisce la terza meditazione in una specie di lode a Dio, a partire di questa scoperta, ma come tutte i filosofi c’è anche i suoi limiti. Purtroppo si deve fare un constante impegno di non confondere i suoi concetti, perché quando utilizza diversi termini comune alla filosofia precedenti, non parla delle stesse cose, ad esempio (reale, formalità, oggetto, sostanza, ecc).
            Il dubbio come metodo ci sembra non essere valido, da altre motivi, anche perché, l’astrazione non è possibile senza l’esperienza sensibile.
                       
Concetti fondamentale in Cartesio.

** a professora quer encontremos no texto a partir de onde Cartesio coloca o termo causalidade e como considera la cosa, eu digo, a partir do § 16-17.
** le nozione di formalità (ciò che intendiamo per reale, l’entità di una cosa, ciò che è obbiettivo e attuale. pag. 39 italiano, nota de rodapé) e oggettività (ciò che identico a sé) dell’idee.



[1] Cfr. ANSELMO, Sto., Menológio. Col. Os Pensadores. São Paulo. Nova Cultural. 2a. Ed. 1973. pag. 15-16.


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