Heidegger - Lettera sull’umanismo I

Resumo I

La lettera sull’umanismo è stata pubblicata da Heidegger subito dopo la II Guerra mondiale come una forma di risposta al filosofo esistenzialista francese Jean Beaufret che le ha chiesto sul futuro dell’umanismo dopo guerra. L’autore mai si ha considerato un esistenzialista e ha rinegato fortemente questa classificazione, anche abbordando direttamente a Sartre. L’opera è considerata di passaggio dal così detto primo al secondo Heidegger. Vorrei sottolineare in questo piccolo elaborato alcune degl’aspetti che considero più importante nella filosofia dell’autore che mi parre chiaro come piano di fondo di quest’opera.
Infatti Heidegger è considerato uno dei principali autori del XX secolo e ha avuto un influsso importantissimo in tutta la filosofia posteriore, e il suo pensiero, se da un lato c’è il merito di fuggire dal razionalismo moderno tanto criticato da lui, d’altro lato lascia qualche lacune, che secondo Romera, in linea di massima sono tre, la limitazione d’impostazione che deriva dall’aver esteso la critica dello sviamento moderno alla totalità metafisica occidentale, l’unilateralità eccesiva della sua filosofia dell’essere e la carenza di comprensione dell’uomo come essere personale[1]. Secondo me, queste carenze possono essere intesi soprattutto considerando una mancanza di contenuto metafisico per un’etica della autenticità e dell’inautenticità, che parla tanto in quest’opera.
Nella lettera sull’umanesimo appare specialmente la sua visione di uomo, che fondamentalmente è l’essere-nel-mondo (Dasein). L’essere nel mondo dell’uomo implica sempre la libertà, un decidere, un progettare, sempre in un mondo storico in cui ci sono possibilità-eredità che implica anche un destino. Così dice già nel primo paragrafo “portare a compimento significa: dispiegare qualcosa nella pienezza della sua essenza, condurre-fuori a questa pienezza, ‘producere’. Dunque può essere portato a compimento in senso proprio solo ciò che già è. Ma ciò che prima di tutto ‘è’, è l’essere.[2]
Lui critica la tradizione di un umanismo bassato in una metafisica ricevuta da Aristotele e Platone, che secondo lui è troppo logica e non si domanda sulla verità dell’essere in se stesso, invece per lui l’umanità dell’uomo sta nella sua essenza, ossia, “ex-sistenza” dell’uomo. Ma principalmente rifiuta l’umanismo di Sartre, che pensa essere un umanismo l’esistenzialismo, il titolo proprio di quest’opera è come che una risposta a Sartre, come si volessi dire, questo è parlare “sull’umanesimo”.
Dunque ogni autenticità significa allora la consapevolezza della finitezza, del progettarsi secondo un’eredità tramandata, ricevuta, ma sempre scelta. Questo è proprio una caratteristica dell’uomo perché gl’animali hanno un altro senso di temporalità, perché non hanno a possibilità di progettarsi nel senso pieno della parola.
Dunque il termo temporalità per Heidegger c’è questo senso nel contesto dell’uomo, ma la temporalità dell’uomo porta ad un’altra temporalità, quella del mondo, della storia. Ogni mio progettarmi è nella storia, ogni mia scelta implica un senso unico nella storia, deve essere coerente con il contesto assunto e ereditato. Per lui bisogna considerare l’esistenza dell’uomo nella sua fattualità, nella quotidianità, nella lettura di questa prima parte dell’opera possiamo osservare che lui cerca di uscire completamente di una analisi troppo teorica, proprio perché intende l’uomo come distinto d’altre modalità di essere, perché a lui appartiene l’esistenza (vita terrena). L’essere umano nella sua immediatezza si presenta come essere di rapporti e questa è giustamente la sua condizione originaria, i rapporti sono con se stesso e con le altre.
Allora si consideriamo i rapporti con l’io stesso, ciò che è in gioco è l’esistenza, ciò che rende importante  l’esistenza è il tema della propria esistenza, ossia, quale è il tema della mia vita? Per questo motivo l’io è sempre in rapporto con me stesso e con l’alterità (uomini e mondo). Questo vuoi dire che l’uomo si trova sempre nell’ambito della comprensione del senso dell’essere, che implica sempre una comprensione dal contesto, perciò l’uomo è l’essere-nel-mondo (essere qui, li), “Dasein”.
Presento qui un piccolo schema per facilitare un può ciò che ho tentato spiegare in questo elaborato:
Esistenza à essere nel mondo à cura (rapporto congruente) à decidere à quotidianità: caduta à
|_ apertura – comprensione                          |                                    |
|_essere – sempre – mio                                     progetto                 inautenticità
|_ essere con - essere presso                                       |
|         le altre  | le cose                                       temporalità intrinseca (della libertà umana)
|_ essere gettati                                                   |_articolare il tempo (passato, pres. e fut.)

  è  Essere per la morte à nullità – negatività
|_ possibilità vita                |
|_ riprendersi                     |_ essere colpevole
|_ trovare soluzione                             |_ angoscia
|_ autenticità

Come critica possiamo considerare che davanti una realtà storica specifica, abbiamo in conto specialmente il suo contesto nel nazionale socialismo nazista, manca qualcosa per uscire di là, cosa manca? Manca la trascendenza (Dio), e manca un’etica di contenuto, un’etica dell’autenticità e dell’inautenticità. E perché manca queste cose? Forse perché l’analisi di Heidegger è troppo fenomenologica, ma poco ontologica. E si non c’è ontologia, ossia, se la fenomenologia non c’è ontologia, non ci porta ad una costituzione, la consapevolezza della finitezza senza trascendenza, manca di criteri oggettive per giudicare la realtà.
Sembra che Heidegger ebbe problema di cogliere l’essere perché non aveva una concezione chiara dalla creazione, ancor se è stato conoscitore di questo, nel suo percorso filosofico sembra aversi allontanato.
Vediamo anche l’attualità di Heidegger e la sua influenza nei nostri giorni quanto ci troviamo con il suo linguaggio particolare molto presente nel dibattito contemporaneo e spesso nella vita comune di ogni persona, per esempio, “condizione originaria”, “progettarsi” nel mondo.
Possiamo dire che lui è proprio un ermeneuta, forse il padre dell’ermeneutica che dopo sarà trasmessa e sviluppata da Gadamer. Quello che possiamo affermare con sicurezza, è che lui non è un esistenzialista, nemmeno un metafisico, lui è un ricercatore dell’essere, un fenomenologo (è stato discepoli di Husserl), più ancor, un fenomenologo molto profondo. Lui propone un linguaggio non rigoroso alla filosofia, ma più “poetico”.





[1]Cfr.  Romera, L. Finitudine e trascendenza. Ed. Università della Santa Croce. Roma. 2006. pag. 83-85
[2] Heidegger, M. Lettera sull’umanesimo.

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