V Domenica di Quaresima

(Ez 37,12-14; Sl 129(130); Rm 8,8-11; Gv 11,1-45)



         Carissimi fratelli e sorelle, siamo nella camminata penitenziale un mese fa, e in questa quinta domenica quaresimale siamo invitati a domandarci come sta la nostra preparazione per la Pasqua: abbiamo già fatto una buona confessione? Il nostro spirito sta veramente sperando ansioso la celebrazione della vittoria di Gesù sul peccato e sulla morte? È proprio questo l’invito della liturgia d’oggi sulla risurrezione di Lazaro.
         La prima lettura della messa ci porta al contesto dell’esilio di Israele, è una parola di consolazione e rinvigorimento, perché quel popolo stava lontano della loro terra e oppressi in una terra pagana, la Babilonia sotto la loro legge e tortura, perciò dice il Signore “Ecco io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele” (Ez 37,12). Due cose ci salta alla vista, primo il Signore chiama quello popolo come SUO POPOLO, secondo, promette una liberazione delle tombe, che qui non deve essere vista nel senso letterale, ma interiore, il Signore vuole non soltanto ricondurre il suo popolo alla terra promessa, ma soprattutto al vero senso della loro religione, perdonando le loro infedeltà, ossia dopo la penitenzia dell’esilio il Signore non lascerà senza compimento la sua promessa, perché per Dio, ricondurre Israele alla propria Terra, più di una liberazione politica, rappresentava un rinnovamento interiore, “farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete” (Ez 37, 14a).
         È esattamente questo il senso della confessione sacramentale per noi cristiani, un rinnovamento interiore, molto più grande che un bagno spirituale, è un rincominciare con più forza e grazia di Dio il nostro camminare terreno. Quando facciamo una buona confessione, attualizziamo in noi il mistero pasquale, perché usciamo dalla morte e siamo nuovamente inseriti alla vita della grazia, all’unione con Dio.
         La seconda lettura presenta la doppia possibilità di vita terrena, una secondo la carne, che sarebbe la vita nel peccato, nell’infelicità e l’altra che è quella secondo lo Spirito, che è la vita nella grazia di Dio, nella felicità. San Paolo non è troppo romantico, è molto cosciente dell’influenza del peccato nella nostra vita, però ci ricorda la forza dello Spirito Santo, che è sempre più forte che le nostre debolezze, allo stesso tempo che ci esorta a aprirci alla grazia di Dio, perché non siamo più sotto l’influsso del peccato, “Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi” (Rm 8, 9) questa presenza dello Spirito, sappiamo bene, è venuta per il battesimo, e soltanto il peccato ci può far allontanarci, e tante volte ci lasciamo portare dal peccato, abbiamo tanto il bisogno del perdono di Dio per poter trovare nuovamente lo Spirito, e il dono di Dio è così grande che non impone limiti al perdono, come tanto ci ricorda il Santo Padre Francesco, “Dio non si stanca mai di perdonarci”, quindi cari amici, è tempo di tornare a Dio.
         Non possiamo negare, che qualche volte pensiamo essere impossibile lasciare determinati peccati, ma la nostra fede è in Dio e non nella nostra esperienza personale. Infatti il beato, quasi santo, Giovanni Paolo II ci ricordava sempre questo, nessuno può vivere della propria esperienza personale, ma della grazia di Dio.
         Questo messaggio è molto profondo, perché dimostra che il peccato non ci definisce davanti a Dio, non importa quale sia, Dio ci contempla nella gloria, e non si compiace dalla morte del peccatore, ma che egli ritorni alla vita. È proprio per questo che Gesù versa le sue lacrime nella tomba di Lazaro e lo risuscita dai morti, sente la mancanza del suo amico e vuole abbracciarlo nuovamente e come Lui c’è il potere sulla morte, da nuovamente la vita al suo amico.
         È vero che in tanti momenti della nostra vita ci lasciamo portare dai vizi, ma il messaggio della Parola di Dio è fondamentalmente questo: non importa l’abisso in cui il peccato ci può fare sperimentare, mai sarà più profondo che il grande amore di Dio versato su di noi. Per questo possiamo dire come il salmista, “dal profondo a te grido Signore; Signore ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia supplica” (Sl 129(130) 1-2). È sempre tempo di conversione e non siamo mai in ritardo.
         Il Vangelo ci mostra anche com’è bella l’umanità di Gesù che non nasconde il suo dolore, così dice S. Giovanni, “Gesù scoppiò in pianto” (Gv 11, 35). Perché dico che questo pianto ci rivela l’umanità di Gesù? Perché lui sapeva molto bene che avrebbe di risuscitare il suo amico con la sua vittoria sulla morte, comunque non lascia di sentire il dolore di una perdita. Siamo così anche noi, abbiamo fiducia nella risurrezione, ma anche piangemmo la morte di una persona amata.
         La certezza dell’umanità di Gesù è per noi consolazione non soltanto perché ci da la certezza di che Egli ci comprende, ma anche che la nostra sofferenza è umana e molto normale. Non possiamo soltanto rimanere nel pianto, nel dolore, ma aprirci alla vita della grazia che il Signore ha per noi.
         Se il peso del peccato ci opprime e alle volte ci fa pensare che è l’ultima parola per la nostra vita, però dobbiamo ricordare “che se il nostro cuore ci condanna, Dio è maggiore che il nostro cuore” (1Jo 3,20). Non esiste errore oppure peccato più grande che l’amore di Dio. L’invito è per fare la grande esperienza dell’amore di Dio, la confessione sacramentale, che veramente ci fa uscire dal dolore e dalla mancanza di speranza per portarci alla vera vita e alla comunione con Dio attraverso l’eucaristia.

         Finiamo chiedendo alla Madonna, Rifugio dei peccatori, gemendo e piangendo in questa valle di lacrime, che ci possa portare nelle sue braccia alle braccia del Nostro Padre, Dio Misericordioso. 

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