V Domenica di Quaresima
>> domingo, 6 de abril de 2014 –
HOMILIAS
(Ez 37,12-14; Sl 129(130); Rm 8,8-11; Gv 11,1-45)
Carissimi
fratelli e sorelle, siamo nella camminata penitenziale un mese fa, e in questa
quinta domenica quaresimale siamo invitati a domandarci come sta la nostra
preparazione per la Pasqua: abbiamo già fatto una buona confessione? Il nostro
spirito sta veramente sperando ansioso la celebrazione della vittoria di Gesù sul
peccato e sulla morte? È proprio questo l’invito della liturgia d’oggi sulla
risurrezione di Lazaro.
La
prima lettura della messa ci porta al contesto dell’esilio di Israele, è una
parola di consolazione e rinvigorimento, perché quel popolo stava lontano della
loro terra e oppressi in una terra pagana, la Babilonia sotto la loro legge e
tortura, perciò dice il Signore “Ecco io apro i vostri sepolcri, vi faccio
uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele”
(Ez 37,12). Due cose ci salta alla vista, primo il Signore chiama quello
popolo come SUO POPOLO, secondo, promette una liberazione delle tombe, che qui
non deve essere vista nel senso letterale, ma interiore, il Signore vuole non
soltanto ricondurre il suo popolo alla terra promessa, ma soprattutto al vero
senso della loro religione, perdonando le loro infedeltà, ossia dopo la
penitenzia dell’esilio il Signore non lascerà senza compimento la sua promessa,
perché per Dio, ricondurre Israele alla propria Terra, più di una liberazione
politica, rappresentava un rinnovamento interiore, “farò entrare in voi il mio
spirito e rivivrete” (Ez 37, 14a).
È
esattamente questo il senso della confessione sacramentale per noi cristiani,
un rinnovamento interiore, molto più grande che un bagno spirituale, è un
rincominciare con più forza e grazia di Dio il nostro camminare terreno. Quando
facciamo una buona confessione, attualizziamo in noi il mistero pasquale,
perché usciamo dalla morte e siamo nuovamente inseriti alla vita della grazia,
all’unione con Dio.
La
seconda lettura presenta la doppia possibilità di vita terrena, una secondo la
carne, che sarebbe la vita nel peccato, nell’infelicità e l’altra che è quella
secondo lo Spirito, che è la vita nella grazia di Dio, nella felicità. San
Paolo non è troppo romantico, è molto cosciente dell’influenza del peccato
nella nostra vita, però ci ricorda la forza dello Spirito Santo, che è sempre
più forte che le nostre debolezze, allo stesso tempo che ci esorta a aprirci
alla grazia di Dio, perché non siamo più sotto l’influsso del peccato, “Voi
però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che
lo Spirito di Dio abita in voi” (Rm 8, 9) questa presenza dello
Spirito, sappiamo bene, è venuta per il battesimo, e soltanto il peccato ci può
far allontanarci, e tante volte ci lasciamo portare dal peccato, abbiamo tanto
il bisogno del perdono di Dio per poter trovare nuovamente lo Spirito, e il
dono di Dio è così grande che non impone limiti al perdono, come tanto ci
ricorda il Santo Padre Francesco, “Dio
non si stanca mai di perdonarci”, quindi cari amici, è tempo di tornare a
Dio.
Non
possiamo negare, che qualche volte pensiamo essere impossibile lasciare
determinati peccati, ma la nostra fede è in Dio e non nella nostra esperienza
personale. Infatti il beato, quasi santo, Giovanni Paolo II ci ricordava sempre
questo, nessuno può vivere della propria esperienza personale, ma della grazia
di Dio.
Questo
messaggio è molto profondo, perché dimostra che il peccato non ci definisce
davanti a Dio, non importa quale sia, Dio ci contempla nella gloria, e non si
compiace dalla morte del peccatore, ma che egli ritorni alla vita. È proprio
per questo che Gesù versa le sue lacrime nella tomba di Lazaro e lo risuscita
dai morti, sente la mancanza del suo amico e vuole abbracciarlo nuovamente e
come Lui c’è il potere sulla morte, da nuovamente la vita al suo amico.
È
vero che in tanti momenti della nostra vita ci lasciamo portare dai vizi, ma il
messaggio della Parola di Dio è fondamentalmente questo: non importa l’abisso
in cui il peccato ci può fare sperimentare, mai sarà più profondo che il grande
amore di Dio versato su di noi. Per questo possiamo dire come il salmista, “dal
profondo a te grido Signore; Signore ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi
attenti alla voce della mia supplica” (Sl 129(130) 1-2). È sempre tempo
di conversione e non siamo mai in ritardo.
Il
Vangelo ci mostra anche com’è bella l’umanità di Gesù che non nasconde il suo
dolore, così dice S. Giovanni, “Gesù scoppiò in pianto” (Gv 11, 35). Perché
dico che questo pianto ci rivela l’umanità di Gesù? Perché lui sapeva molto
bene che avrebbe di risuscitare il suo amico con la sua vittoria sulla morte,
comunque non lascia di sentire il dolore di una perdita. Siamo così anche noi,
abbiamo fiducia nella risurrezione, ma anche piangemmo la morte di una persona
amata.
La
certezza dell’umanità di Gesù è per noi consolazione non soltanto perché ci da
la certezza di che Egli ci comprende, ma anche che la nostra sofferenza è umana
e molto normale. Non possiamo soltanto rimanere nel pianto, nel dolore, ma
aprirci alla vita della grazia che il Signore ha per noi.
Se
il peso del peccato ci opprime e alle volte ci fa pensare che è l’ultima parola
per la nostra vita, però dobbiamo ricordare “che se il nostro cuore ci
condanna, Dio è maggiore che il nostro cuore” (1Jo 3,20). Non esiste
errore oppure peccato più grande che l’amore di Dio. L’invito è per fare la
grande esperienza dell’amore di Dio, la confessione sacramentale, che veramente
ci fa uscire dal dolore e dalla mancanza di speranza per portarci alla vera
vita e alla comunione con Dio attraverso l’eucaristia.
Finiamo
chiedendo alla Madonna, Rifugio dei peccatori, gemendo e piangendo in questa
valle di lacrime, che ci possa portare nelle sue braccia alle braccia del
Nostro Padre, Dio Misericordioso.