V Domenica del Tempo Ordinario
>> segunda-feira, 10 de fevereiro de 2014 –
HOMILIAS
(Is 58, 7-10; Sl 111; 1Cor 2,1-5; Mt 5, 13-16)
Carissimi fratelli e sorelle
la liturgia di questa V Domenica del tempo ordinario è un invito alla nostra
riflessione interiore, però anche esteriore della nostra pratica religiosa,
poiché nessuno può vivere la propria fede scollegata dal mondo, dalle altre
persone, e in questo senso Gesù ci ricorda che la fede è il “sale della terra e la luce del mondo.” Oggi
la nostra riflessione sarà proprio sull’importanza della nostra esperienza
personale con il Signore per la testimonianza al mondo, vorrei chiamare la
vostra attenzione per la situazione religiosa contemporanea, specialmente qui
in Europa, ma anche in tutto il mondo occidentale, dove la secolarismo è un
fenomeno forte che cerca non soltanto separare l’ambito della fede e quello sociale,
ma invece cerca di mettere opposizione tra di loro, come si la realtà interiore
spirituale e la realtà esteriore pratica non dovessi cercare il bene comune,
ossia il bene della persona umana.
Non basta più lamentare la
situazione della famiglia contemporanea, i valori perdute e l’immoralità
passata attraverso i mezzi di comunicazione, nemmeno lamentare la situazione
politica di corruzione, tutto questo è il risultato della nostra perdita essenziale
del senso della fede, del rapporto con Dio e con gli altri, siamo stati
dimenticati che la fede implica anche la pratica dell’amore concreto non
meramente poetico e teorico. La situazione di crisi economica e politica
attuale è anche conseguenza dell’abbandono della coscienza che non siamo per
noi stessi, ma per gli altri, per servire e amare. L’Europa ha dimenticato la
sua vocazione cristiana, e purtroppo la conseguenza è arrivata nel resto del
mondo occidentale.
Cito soltanto alcune esempi di questa situazione: l’abbandono
in cui vivono gli anziani, tante volte dai propri figli. Famiglie che non
vogliono più figli, perché pensano che i figli privino la libertà, oppure
perché l’esito professionale viene sempre nel primo piano, e per questo motivo
la popolazione giovane ha diminuito tanto, causando problemi sociali
nell’ordine economico del lavoro, la perdita del senso della vita che portano
tante persone alla tristezza mortale, anche al suicidio, figli che si
confrontano con i genitori e genitori contro i suoi figli, ragazzi e ragazze
che non vogliano più il compiuto di formare una famiglia per vivere
nell’illusione di un’apparente libertà, ma che dopo arrivano all’età matura
nella solitudine ecc.
È arrivato il momento di domandarci se non abbiamo
fallito nel compito di essere luce e sale della terra.
Il testo del Vangelo appare nella continuazione
dell’annunzio delle beatitudine nel Vangelo di Matteo, possiamo dire con
sicurezza che costituisce un coronamento e una applicazione pratica di esso, allora
è giustamente nella misura in che i discepoli di Gesù vivono lo spirito delle
beatitudine che saranno il “sale della terra” e la “luce del mondo”. Altro dettaglio
tanto importante è che il testo non pone l’accento, l’annunzio del Vangelo
attraverso la predicazione, ma attraverso la testimonianza di vita, “così risplenda la vostra luce davanti agli
uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro
che è nei cieli” (Mt 5, 16). Come dice anche Santo Antonio di Padova,
“basta la parola e che parlono le opere”.
L’immagine uttilizzata da Gesù è perfetta, perché il sale
preserva gli alimenti della corruzione e le da sapore , però lo fa tutto senza
chiamare l’attenzione alla sua presenza. La luce è anche condizione fondamentale
per la visione, nessun può vedere nulla senza la luce, perciò i discepoli
devono essere luce perché sono “figli
della luce” (1Tes 5,5), devono riflettere Cristo che è la vera “luce del mondo” (Gv 1, 4-5.9).
La testimonianza è sempre frutto dell’incontro personale
con Gesù, e non deve essere cercata soltanto nel senso esterno, perché diventa
artificiale, non convince a nessuno, nemmeno a se stesso e fa la fede diventare
infeconda, burocratica, la fede della pratica rituale senza vita, della
preghiera meccanica e più per paura di Dio che come risposta del suo amore
infinito e personale verso di noi. Questo vuoi dire tanto!
Carissimi, Cristo non spera che siamo impeccabili (senza
peccati), però come ci ricorda il Papa Francesco, “peccatori si, deboli si, ma
traditori e corrotti no!” il Signore conosce la nostra debolezza e per questo
motivo ci ha fatto vivere in comunità, perché nessuno si basta a sé stesso,
dobbiamo riconoscere la nostra finitezza, però senza lasciare di cercare la
trascendenza.
È con Dio che diventiamo forti, e nella pratica
dell’amore fraterno, nella tenerezza che scopriamo il vero senso della nostra
esistenza e non cercando essere il super uomo detto da Nietzsche, massacrando
le altre, loro vedendo come si fossi avversari e ostacolo alla nostra felicità.
Fu cosi che l’apostolo Paolo ha evangelizzato il mondo, “Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione”
(1 Cor 2,3 perciò la gente le ha creduto, perché erano in grado di vedere
in lui la “manifestazione dello Spirito e
la sua potenza” (cfr 1Cor 2, 4-5).
Siamo completamente stanchi del contro testimonianza di
alcuni rappresentati di Dio e di tanti cristiani, di persone che cercano sempre
a se stessi, dimenticandosi dell’essenziale, che l’amore a Dio non può mai
essere vissuto senza il rapporto con gli altri.
Cari amici, come suonano nel nostro cuore queste parole
forte del profeta Isaia?
“Non consiste fare il digiuno che voglio nel dividere il pane con
l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che
vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?” (Is 58.7).
Non sarà già il tempo di aprirci al perdono, alla
misericordia, a dimenticare l’odio, la gelosia, e tutto quanto? Quanto tempo
della nostra vita abbiamo perso soffrendo a causa del rancore, non sarà tutto
questo in invito ad aiutare, amare e servire? “Voi siete sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa
lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato
dalla gente.” (Mt 5, 13)
Cari amici, bisognammo veramente metterci davanti a Dio e
domandarsi, come stiamo vedendo e vivendo la nostra fede, forse la nostra lotta
spirituale tante volte diventa faticosa perché abbiamo dimenticato
l’essenziale, l’amore verso l’atro, cominciando nella nostra casa, tra i
nostri, ma anche qui, adesso, nella nostra comunità, tra quelle che sono con
noi ogni giorno, nel lavoro e in tutti gli ambiti in cui siamo. La luta diventa
sempre molto pesante e noiosa se si trasforma in volontarismo, ricerca di virtù
senza carità, che è un’apparenza di virtù che nasconde la nostra superbia e
volontà di potenza.
La dimensione verticale della fede è inautentica se scuriamo
la dimensione orizzontale. Il mondo, l’Europa forse ha dimenticato Cristo
perché non Lo vedono in noi. Però è ancora tempo di conversione, la situazione
e così bruta che non è difficile mostrare Cristo, il paradigma ha cambiato
tanto che quando una persona vive veramente il cristianesimo, diventa subito sale
della terra e luce del mondo.
Per finire la nostra meditazione, cerchiamo di non essere
profeti delle tenebri, più che accusatori, siamo annunziatori dell’amore, se il
dovere ci obbliga a mostrare l’errore e il peccato, non lo facciamo senza
mostrare anche la risposta, Gesù, L’agnello di Dio, che toglie il peccato del
mondo.
Infatti il salmo così definisce gli uomini retti:
misericordioso, pietoso e giusto, ossia, misericordioso nel confronto con il
peccato perché crede che Dio sia più grande della colpa, pietoso, perché
davanti alla seduzione del mondo, sa che rendere il culto vivo a Dio è
veramente ciò che da valore alla vita, e giusto perché sa riconoscere quello
che è proprio e quello che è dell’altro. Il mondo ha il diritto di vedere
Cristo nei cristiani, ossia, in ognuno di noi, “perché vedendo le nostre opere buone possano rendere gloria al Padre
nostro che è nei cieli.” (cfr. Mt 5,16)