XXX Domenica del Tempo Ordinario

(Es 22, 20-26; Sl 17(18);1Ts 22, 34-40; Mt 22, 34-40)


“Amerai!”

      Carissimi fratelli e sorelle, la liturgia d’oggi ci pone davanti all’essenza della nostra fede: l’amore! Nella nostra meditazione cercheremo di affrontare di quale amore ci parla Dio, quale misura, quale modo e a chi deve essere destinato.
        “I farisei avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, l’interrogò per metterlo a prova: Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento”. (Mt 22, 34-36). Qui possiamo vedere una volta più un’attitudine d’ironia, la domanda fatta dal dottore non cerca un insegnamento, ma mettere a prova Gesù, che pena! Perché la domanda è veramente buona e ci permette un questionamento profondo sull’autenticità della fede.
          Là risposta di Gesù rimette all’amore. La domanda riguarda il comandamento più importante e la risposta di Nostro Signore all’essenza della vera religione. Infatti, gli ebrei erano curatissimi nell’osservare la legge, però il legalismo in cui erano caduti, loro avevano portato a una chiusura di cuore all’amore vero.
         L’amore, appunto, implica là libertà, nessun può amare autenticamente se non lo fa liberamente. La legge, quindi, deve educare il cuore umano e predisporlo all’amore, però mai, portare a chiusura interiore. Allora questo ci permette concludere che la legge, ancora che importantissima, non ha il potere in sé stessa, di fare che nessuno venga ad amare. Una persona può essere strettamente legalista, compiere tutte le regole e leggi, però questo non implica necessariamente sappia amare.
       È molto interessante pensare che l’inverso non occorra spesso, di solito, la persona che veramente ama, impara a compiere la giustizia, perché la carità che ci porta ad andare all’incontro dell’altro e offrire ciò che abbiamo e siamo di meglio implica sempre riconoscere quello che è dell’altro. Questo vuoi dire dunque che quello che sa amare veramente sempre sia giusto, ma il giusto non necessariamente sappia amare.
            Qui ci domandiamo: lo scopo della nostra fede è farci giusti o caritevoli?  La risposta è data da Gesù: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente e amerai il tuo prossimo come te stesso” (cfr. Mt 22,37-39).
            Cari Fratelli e sorelle mai diventa esaustivo domandarci, il mio rapporto con Dio mi porta ad amarLo sopra tutte le cose e ad amare il prossimo? La mia vita sacramentale, la mia vita di pietà mi porta a vedere Dio come un Padre amoroso e ad amare chi è accanto a me? Ho, infatti, uno sguardo d’amore verso le altre?
            La risposta questa domanda non deve essere soltanto teoretica, ma pensiamo: Io, infatti, riesco a vedere che Dio è sempre con me, nella mia casa, nella mia famiglia, nel mio lavoro e anche presente nel mio rapporto con le persone? La mia condotta cerca veramente Dio?
          Ci può aiutare tanto a rispondere, analizzando il tempo che riserviamo alla preghiera personale, sia come sia, al dialogo profondo e intimo con il Nostro Signore. Dopo pensare, le mie parole e il mio atteggiamento verso le altre abitualmente producono amore, perdono, riconciliazione oppure odio, gelosia, invidia, chiacchera, intriga?
            È molto vero che possiamo facilmente cadere in un’attitudine di giudizio temerario verso le altre persone, specialmente chi è accanto a noi e hanno un temperamento molto diverso del nostro, che non comungano della nostra fede, oppure semplicemente non sono d’accordo con la nostra forma di vedere il mondo. Qui siamo invitati a un vero compito: evangelizzare con la nostra vita, con le nostre parole, ma anche con il nostro atteggiamento verso loro. Trattare queste persone come Cristo, perdonando e dimostrando che il perdono e la misericordia è soltanto quello che può cambiare una vita. Ancora che abbiamo la responsabilità di correggere ed esortare i nostri figli, amici, colleghi, possiamo sempre fare questo con vero spirito d’amore, così come Dio fa con noi ogni volta che ci avviciniamo al sacramento della riconciliazione, perdonandoci e dandoci la grazia per rincominciare di una forma diversa.
            Infatti, come dice il salmo, “grandi cose ha fatto il Signore per noi” (Sl 17(18), 3). Conviene dunque sempre pensare quante volte abbiamo peccato e quante volte ci ha perdonato Gesù.
            Di solito una persona che non riesce a vedersi come peccatrice perdonata da Dio, anche non riesce a perdonare le altre. Era questa l’attitudine di alcuni dottori della legge, sapevano tanto bene la Legge giusta, ma dimenticavano sempre della loro infedeltà e del perdono dato da Dio.
            L’apostolo Paolo aveva sempre questo in mente, si ricordava sempre dei suoi errori, però non per accusarti infecondamente, ma per esaltare la grande misericordia di Dio verso Lui ed esortava sempre alle comunità cristiane che era la loro conversione che portava ai pagani alla conversione, “Infatti, per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acàaia, ma là vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto.” (1Ts 1, 8)
            Se il mondo in cui viviamo e specificamente la nostra famiglia e i diversi ambienti in cui siamo non sono migliori, forse sia perché dobbiamo riflettere più l’amore e la misericordia di Dio.

            Finiamo chiedendo alla Madonna, madre della misericordia, che ci aiuti sempre ad amare Dio e al prossimo come noi stessi e a portare la pace e concordia a tutte i nostri.

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