III Domenica di Quaresima
>> domingo, 23 de março de 2014 –
HOMILIAS
(Es 17, 3-7; Sl
94; Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42)
Carissimi
fratelli e sorelle, oggi celebriamo la terza Domenica di Quaresima e la
liturgia ci invita a meditazione sulla virtù teologale della speranza. La
nostra vita è sempre piena di momenti buoni e difficili che esigono di noi una
sfida, una decisione e la fede anche intesa come speranza soprannaturale deve
essere per noi cristiani il punto di partenza, ossia, non possiamo fare buone
scelte senza considerare ogni pensiero con il Nostro Signore.
La prima lettura ci mostra
questo in un modo molto chiaro, il popolo di Israele, dopo aver sperimentato il
miracolo della liberazione dell’oppressione egizia si confronta con il deserto,
e con tutte le conseguenze di camminare nel deserto, fame, sete, paura del
futuro, la nostalgia di un passato che ancor che fossi di oppressione, era
sicuro. La nostra vita è anche così perché il cuore umano è così, sempre
inquieto come molto bene traduce Santo Agostino nelle sue Confessioni, “et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te” (inquieto sta il nostro cuore, in quanto
non riposa in te). Nei momenti di difficoltà abbiamo paura di non trovare una
via di uscita e la nostra tendenza è chiuderci alla speranza a causa della
paura del futuro e in questi momenti siamo incarcerati nel passato.
È
molto importante considerare questo, si fermiamoci alla esperienza di quel
popolo di Israele troveremo tante somiglianze con la nostra vita personale.
Loro non sono stati persone liberi nell’Egitto, e come la libertà è una
condizione fondamentale della felicità umana, quindi non erano felici, e
sicuramente in quei momenti sognavano con un’autentica libertà, però quando
questa liberta è venuta, si confrontano con il deserto, perché il cammino umano
sempre deve passare per il deserto, inteso qui come incontro con sé stesso, e
già nel deserto, davanti alle difficoltà, hanno paura del futuro e il raccordo
del passato viene come una forte tentazione. Il dettaglio che non ci può
passare inosservato è che non è un passato felice, ma un passato di
oppressione, nonostante si lamentano, “Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per
far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?” (Es 17, 3)
Chiama l’attenzione che molto veloce
loro sono dimenticati dei grandi miracoli che hanno preceduto l’uscita
dall’Egitto e che doveva essere la fonte di speranza per il momento di
difficoltà. Appunto, se il Signore aveva fatto grandi meraviglie per loro
liberare dall’oppressione non doveva anche fare che loro sperimentassero grandi
miracoli nel deserto? Qualcuno ha già sentito parlare di un’opera che il
Signore ha cominciato e non ha finito?
È
questo il messaggio anche della seconda lettura, l’apostolo Paolo vuole
ricordare i romani della fedeltà di Dio, “La speranza non delude, perché l’amore di
Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è
stato dato.” (Rm 5,5)
Cari fratelli e sorelle, tutti noi
abbiamo una esperienza singola con Dio, una vita personale, dove abbiamo
vissuto delle difficoltà e sfide in cui abbiamo pensato non essere in grado di
superare, abbiamo anche l’esperienza di aver superato tante cose attraverso la
fede.
È
molto comune perderci nei pensieri sul futuro, lasciarci incarcere dalla paura,
dell’insicurezza, dall’angoscia, soprattutto perché abbiamo già fatto
l’esperienza della nostra finitezza dove abbiamo incontrato i nostri limiti
umani, le nostre debolezze, e ancor se
troviamoci in un contesto in che se esige di noi la speranza e il coraggio di portare avanti la sfida
della vita, la falsa sicurezza di un passato ci presenta come un tentazione, e
come conseguenze vengono delle domande senza senso: non sarebbe stato meglio
non aver fatto questa o quella decisione? Non sarebbe meglio non complicarmi la
vita? Non sarebbe meglio cambiare il contesto, lavoro, vocazione ecc?
È
proprio questo il momento in cui siamo chiamati a fare l’esperienza della
speranza, non qualsiasi speranza, ma quella venuta dalla fede, che ci da la
certezza che la nostra vita non è vissuta da soli, ma che appartiene a Dio, e
completare nella nostra vita la frase di Sant’Agostino e permettere che il
nostro cuore possa trovare consolazione in Dio, come? Presentando ogni
decisione al Signore, non possiamo considerare una scelta importante senza
prima aver parlato con Dio, senza ricordare tutto quanto abbiamo già passato
con il suo aiuto singolo e personale.
La
nostra memoria deve essere educata, e se siamo persone saggie, dobbiamo
meditare sempre con ringraziamento le difficoltà che abbiamo superato con la
grazia di Dio. Se non è così abbiamo il rischio di essere sempre incarcerati
dalla nostra fertile immaginazione.
Nel
salmo della messa ascoltiamo il Signore che ci esorta a non essere smemorati, “Non
indurite il cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi
tentarono i vostri padri: mi mesero alla prova pur avendo visto le mie opere.”
(Sl 94(95) 8-9)
Cari amici il Signore ci chiama a
quest’attitudine personale, pensare alla propria vita nella sua presenza e
ricordare il suo potere e amore riversato su di noi. Nessuno lo può fare per
noi, non possiamo trasferire la responsabilità della nostra vita alle altre,
nemmeno vivere sempre cercando colpati per i nostri fallimenti, questo lo fa
soltanto coloro che non hanno umiltà do riconoscere le proprie mancanze, in
linea di massima, fanno questo perché sono persone impaurite dalla mancanza di
coraggio di confrontare il proprio deserto.
No! Non
dobbiamo essere così per un motivo molto semplice: Il Signore è per noi, e la
sua divina Providenza tutto governa, anche la nostra vita e se per qualsiasi
motivo, facciamo una scelta sbagliata, anche quando vogliamo fare il bene, non
siamo mai abbandonati alla sorte. No, il Signore è per noi e può farci imparare
sempre anche negli sbagli, perché alla fine “noi sappiamo che, per quelli che
amano Dio, tutto concorre al bene.” (Rm 8,28)
Finiamo
con le dolci parole di Gesù alla donna samaritana “Se tu conoscessi il dono di Dio
e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu avresti chiesto a lui ed egli ti
avrebbe dato acqua viva.” (Gv 4, 10)
Facciamo
il proposito sincero di che nel deserto della nostra esistenza umana, chiedere
sempre a Gesù di quest’acqua viva, che è la sua grazia, che fa scomparire la
nostra sete e ogni paura del futuro.
Nell’offertorio
della messa offriremo a Dio tutte le nostre paure e preoccupazione e l’eucaristia
che fra poco riceveremo sarà per noi il momento di considerare la nostra vita,
e questo dialogo dovrà prolungarsi durante la settimana, presentando a Dio ogni
scelta e attraverso la speranza non lasciarci condurre dalla paura nemmeno
dalla mancanza di coraggio, perché “acclamiamo alla roccia della nostra
salvezza. Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti
di gioia.” (Sl 94(95) 1-2)