II Domenica del Tempo Ordinario

(Is 49,3.5-6; Sl 39; 1Cor 1,1-3; Gv 1,29-34)

Carissimi fratelli e sorelle, ci riuniamo oggi per la prima volta nel tempo ordinario in un Domenica, e sono le parole di Giovanni il Battista a traghettare il nostro percorso dal tempo di Natale a questa prima parte del tempo ordinario che ci separa dall’inizio della Quaresima. Prima di riflettere proprio su centro del messaggio della liturgia d’oggi, conviene dire brevemente che il tempo ordinario è quello in cui di Domenica in Domenica la liturgia ci fa entrare al mistero di Cristo, che in linea di massima, è sempre un ulteriore approfondimento del mistero de noi stessi, che siamo chiamati ad essere santi per chiamata”(1Cor 1, 2), come ci ricorda la seconda lettura d’oggi. Pensiamo adesso nell’espressine “Agnello di Dio” che sarà per noi, il centro della nostra meditazione sulla liturgia di questa Domenica.

Il vangelo di S. Giovanni ci dice che “Giovanni il battista, vedendo Gesù venire verso di Lui, disse: Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1,29), questa espressione è per noi tanto importante che la ripetiamo ogni santa messa, almeno per quattro volte, tre volte subito dopo lo scambio di pace e una volta in più, quasi subito dopo questo momento, un può  prima della distribuzione dell’eucaristia, sulla quale rispondiamo: “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato.” Questo ci convincere sull’importanza di capire ciò che diciamo ogni domenica come un atto di fede.
La parola aramaica taljã’ significa sia “agnello” sia “giovanetto”, che in quel contesto può essere tradotta come “servitore”[1], quindi abbiamo un doppio senso da capire: cosa significa per Gesù essere “agnello e servitore” e soprattutto capire ciò che questo significa specialmente nella vivenza della nostra fede.
I termini “servo” e “agnello” possono essere visti allo stesso tempo nel canto del servo sofferente di Isaia: “come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, egli non aprì la sua bocca” (Is 53,7). Se pensiamo al ruolo di un agnello nell’Antico Testamento vedremo specialmente che il versamento del suo sangue è sempre associato alla salvezza, ricordiamo specialmente che coloro che avevano il segno di sangue di un agnello nelle sue porte sono stati preservati dalla morte (Es 12,13) prima dalla liberazione del popolo scelto dall’Egitto, anche se consideriamo il sacrificio dell’Antica Alleanza, gl’agnelli erano offerte al Signore sull’altare come vittime espiatorie, per il perdono dei peccati del popolo. Possiamo pensare ancora sull’importanza del agnello nella cena pasquale ebrea.
Allora possiamo fare un passo avanti, perché cominciamo già a intuire cosa questo significa nella nostra fede cristiana, non è difficile appunto da capire, consideriamo “il fatto che Gesù fu crocifisso durante una festa di Pasqua ebraica e dovette sembrare proprio il vero agnello pasquale, in cui si compiva quello che era stato il significato nell’uscita dall’Egitto[2]. Infatti possiamo vedere in Gesù, “il servo e l’agnello di Dio”, il compimento di ciò che stato annunziato per Isaia nella prima lettura della messa, “Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra” (Is 49, 6).
Com’è profondo pensare in questo, perché Gesù non è soltanto agnello, ma come annunzia Giovanni il Battista e ripetiamo con fede ogni messa, è “l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1,29), perché lui assume in nostri delitti dando la vita per noi sulla croce, questo mistero è grande e profondo e orienta tutta la nostra vita, la nostra fede, perché Gesù è veramente l’agnello che toglie il peccato del mondo, e qui bisogna non essere troppo teorici, non è il peccato in senso generico, no! È il nostro peccato personale, Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti.” (Is 53, 5).
Il peccato che assola la nostra esistenza umana, il peccato che facciamo noi e che tante volte rinegano ciò che infatti siamo, santi per chiamata”(1Cor 1, 2), anche possiamo dire che è Lui che toglie il peccato del mondo, perché non è soltanto i nostri peccati che affettano la nostra vita, ma anche i peccati delle altri, la cattiveria dei nemici di Dio, e peggio ancora, le debolezze di quelle che sono nostri fratelli e sorelle attraverso il battesimo, ma che alle volte manifestano anche l’endivia, calunnia ecc.
Come ha detto il Papa Francesco, dei peccatori non bisognammo ragionare troppo, perché tutti noi siamo peccatori, e conosciamo il peccato per esperienza, sappiamo bene la tristezza, l’illusione, la frustrazione che ci porta.
Cari fratelli e sorelle, quando proclamiamo Gesù come l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, stiamo dicendo che accettiamo la nuova vita offerta da Lui a tutti noi, e consideriamo anche che il Padre l’ha accettato come vittima espiatoria dei nostri peccati, dunque non bisognammo di altre vite per pagare i nostri errori, nemmeno lamentarci tutta la vita i nostri sbagli. No! Basta accettare il suo perdono ed accoglierlo infatti nella nostra vita, permettere che la sua Vita sia la fonte della nostra vita interiore, specialmente attraverso i sacramenti, l’eucaristia, la confessione…
Dire, come Giovanni il Battista, che Gesù è l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo significa ancora affermare, che Lui non è soltanto un modello di vita da imitare, un buon guida per l’umanità oppure, ma invece è molto più, è Dio stesso, è Colui sopra il quale “si aprono i cieli” (Mt e Lc), il “Figlio prediletto, nel quale il Padre è compiaciuto” (cfr. 3,18), attraverso del quale possiamo essere ascoltati per Dio Padre (cfr. Gv 14,13), il Camino, la verità e la vita” (Gv 14,6) in una parola, è in Lui che si trova il vero senso della nostra vita (cfr. Cl 3, 1-4).
Allora finiamo la nostra meditazione ringraziando a Gesù, l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, specialmente ripetendo le parole del salmo: “Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio” (Sl 39,4). Grazie Gesù per aver presso su di sé le nostre ferite, e soprattutto per venire a noi nell’eucaristia come il vero agnello di Dio, in remissione dei nostri peccati e del mondo intero.




[1] Cfr. JEREMIAS, J. Grande Lessico del Nuovo Testamento., I, Paideia, Brescia 1963, pp. 917-922.
[2] BENEDETTO XVI. Gesù di Nazaret. P. 43

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